Prima di uscire di casa, K.B. lasciò sul tavolo un biglietto. Ore 3:00. Casello di Lambrate. Incontro col segretario del dottor B..
Poi, dopo aver dato fino in fondo le mandate alla porta, scese le scale.
Il portone sbatté con un suono sordo e soffocato. Eravamo a metà dicembre e pioveva da giorni. K.B. sgambettò fino alla macchina e inserì la chiusura di sicurezza.
L’avevano contattata due settimane prima offrendole dei soldi per un articolo di due pagine. Da un giorno all’altro, aveva cominciato a ricevere delle telefonate, e poi s’era incontrata con un uomo in un caffè del centro. Senza che lei se ne accorgesse, l’avevano tirata dentro ad un gorgo sempre più stretto, fino a che non aveva avuto più modo di rifiutare l’incarico. Così, s’era ritrovata in una situazione imbarazzante e ingestibile, che l’aveva gettata in un’ansia perenne.
A pensarci bene, poi, non sapeva nemmeno per chi, esattamente, avesse scritto. Gli avevano chiesto una relazione che falsificasse alcuni dati sulle cure per l’ebola, un articolo scientifico che doveva avvalorare la tesi di un noto professore e la sua posizione presso alcune case farmaceutiche. Non aveva mai incontrato il diretto interessato. Aveva sempre trattato con degli intermediari, sempre diversi.
K.B. mise in moto e partì. Al semaforo la suoneria del cellulare la fece sobbalzare. Era lo scampanellio di un SMS. Allora vide una Porsche che s’avvicinava a grande velocità. Presa dal panico, inserì le quattro frecce e aprì la portiera, non accorgendosi del verde che ne frattempo era scattato.
A pochi centimetri dallo scontro con l’auto di K.B. il bolide virò bruscamente, pigiando sul clacson. Allora le sembrò che il conducente, maledicendola, le avesse fatto il gesto delle corna.
Ripartì piano, mentre si accendeva una sigaretta. Avrebbe riconosciuto il suo cliente perché guidava una Porsche nera. Nera, si ripeté, non grigia.
Il telefono vibrò ancora. Accostò. Sotto il numero del mittente c’era scritto: 1 ALFA TTH – 2 ALFA HTT. Mentre s’accingeva a rispondere, dei fari riempirono l’abitacolo. Qualcuno s’era fermato dietro di lei. Accecata dal riflesso, emise un suono inarticolato, che dava forma al suo supplizio.
Era un’automobile nera e K.B. non poteva vedere chi c’era dentro. Eppure ne fu certa. –É lui, e fece di nuovo per scendere, in preda all’angoscia. Ma l’auto ripartì lentamente, passandole accanto. Era una Mercedes. Allora, trattenendo le lacrime, rispose al messaggio, così com’era stato convenuto. Poi chiamò, per confermare il luogo dell’incontro. Disse, con voce monocorde, che avrebbero trovato le due chiavi osservando la trentaseiesima pagina del manoscritto Voynich nell’edizione di Basilea. Non era vero, ma era la parola d’ordine.
Arrivò al casello alle tre meno un quarto. Dall’auto davanti a lei scese un cinese. K.B. abbassò d’istinto lo sguardo e restò immobile. Lo sentì che alzava la voce. Guardò dallo specchietto. Dietro c’era una lunga fila. Non c’era modo di fare retromarcia. Si rassegnò ad attendere.
Alle tre in punto era al parcheggio. Non appena spense il motore, la Porsche nera svoltò l’angolo, come se l’avesse seguita. Ne scese un uomo che K.B. non aveva mai visto. Doveva aspettarselo. Eppure, in quel momento, pensò lo stesso di risalire in macchina e andare via, ma l’uomo la raggiunse, tendendole la mano. In quel mentre un’ambulanza passava vicino e il rumore della sirena cancellò le loro parole. K.B. non sapeva più che fare. L’uomo si scusò e si allontanò per telefonare, mentre lei, nervosa, lo aspettava, mangiandosi le labbra. Allora le sembrò d’intravedere qualcuno all’interno della Porsche. Quando tornò, l’uomo le consegnò una busta e ritirò la chiave. K.B. fece tutto meccanicamente, come in trance, sul punto di svenire. Era finita.
Risalì in macchina, tremando un poco. Andando via controllò più volte di non essere seguita, rischiando di andare sbattere contro il muro del parcheggio. Inchiodò. Lontano, passavano silenziosi dei lampeggianti della polizia e K.B., allora, si sentì molto strana.